Di chi è la colpa di tutta questa plastica?

In questo periodo sentiamo spesso parlare di inquinamento dei mari, del riscaldamento globale, dell’estinzione di alcune specie di animali ma più di tutto del problema legato alla plastica. Questo è il cuore di una delle tante discussioni che si sta generando intorno all’inquinamento prodotto da questo materiale: di chi è la responsabilità? Di chi è la colpa?
Addossare tutto sulle spalle del consumatore è una strategia delle lobby della plastica che risale agli anni ‘50. La loro politica è passare il messaggio che l’inquinamento è tutta questione di cattive abitudini: la colpa non è delle aziende multinazionali ma dei consumatori che disperdono i rifiuti nell’ambiente oppure comprano soltanto prodotti con imballaggi in plastica. Vogliono far passare questo messaggio in modo da liberarsi da ogni colpa e per distogliere l’attenzione da loro stessi che quella plastica la producono. A prova di questo fatto, negli anni ‘70 girava una famosa campagna pubblicitaria andata in onda negli Stati Uniti che recitava lo slogan “People start pollution. People can stop it!”. Durante lo spot pubblicitario, si vede un pellerossa che piange nell’attraversare i fiumi inquinati dall’uomo moderno. La pubblicità è stata realizzata da un gruppo senza scopo di lucro chiamato Keep America Beautiful, finanziato da aziende di bevande e imballaggi di plastica. La strategia comunicativa è chiara e lineare, si basa sul principio che la colpa è esclusivamente di chi consuma: se compri prodotti con imballaggi di plastica sei complice anche tu dei disastri ambientali. L’idea di base è fondata: il consumatore in effetti ha una grande responsabilità e il suo potere sul mercato è enorme. È giusto quindi prenderne consapevolezza e assumersi la propria responsabilità ma il problema è che la colpa non è esclusivamente nostra come vogliono far credere: Nestlè insieme a Coca-Cola e PepsiCo sono responsabili da sole del 14% della plastica trovata in tutto il mondo. Un dato molto importante rilevato dal movimento internazionale #BreakFreeFromPlastic, che nel 2018 ha mandato in 42 paesi e sei continenti 10 mila attivisti con l’obiettivo di raccogliere e analizzare frammenti di plastica inquinata.
Questo ci insegna che non basta e non basterà mai la piccola parte del consumatore ovvero quella stare attenti a cosa mettere nel carrello della spesa e fare una corretta raccolta differenziata, finché esistono aziende che non curano lo smaltimento della plastica. Come scrive la Greenpeace nel suo rapporto “Una crisi di convenienza”:
“Le immagini, sempre più comuni, di enormi quantità di rifiuti in plastica che invadono fiumi e mari con i loghi dei marchi visibili sottolineano le responsabilità di chi ha contribuito a generare una delle emergenze ambientali più gravi dei nostri tempi”.