Editoriale: Il reato di apologia di mafia, la disciplina fantasma
SOMMARIO: 1. Definizione della problematica: limiti della libertà di espressione in generale - 2. Apologia di mafia: libera espressione o censura? - 3. Differenza tra il presunto reato di apologia di mafia e istigazione a delinquere - 4. Conclusioni e fonti
Definizione della problematica: limiti della libertà di espressione in generale
Allo stato attuale della situazione giuridica in materia di contrasto alle attività della criminalità organizzata, sia in Camera che in Senato sono depositati disegni di legge che, se approvati per tempo, potrebbero inserire, all'interno del codice penale - astrattamente è contemplato anche il fatto che possa trattarsi di una legge penale ordinaria che non rientrerebbe nel codice - un reato sui generis: apologia di mafia. Essendo un disegno di legge non esiste una disciplina finita e in vigore, per cui: come inquadrare il reato di apologia di mafia?
Si parta dall'art. 21 della Costituzione che disciplina la libera espressione di pensiero. La libera espressione trova il suo bilanciamento nella privacy, in primis, ed in secundis, in tutta una serie di illeciti sia penali sia amministrativi che tutelano la persona sia in singolo che «nelle formazioni sociali» (art. 2 co. 1 Cost.); l'illecito amministrativo rilevato è l'ingiuria - disciplinata dall'art. 594 codice penale - che oggi è semplice illecito amministrativo (si prende al massimo una multa) per effetto della depenalizzazione operata dal decreto legislativo n. 7 del 2016. Il reato di ingiuria tutelava l'honor homini dell'offeso e, dunque, scattava il reato perché si era leso quell'honor.
Sono invece reati la diffamazione e la calunnia. La differenza, sottile ma non troppo, sta nella commissione del delitto. La diffamazione avviene, infatti, «comunicando con più persone» (art. 595 c.p. comma 1) fatti che in realtà o non sono mai avvenuti ovvero sono avvenuti ma in contesti diversi ovvero decontestualizzando i fatti avvenuti al solo scopo di porre in cattiva luce la vittima. L'art. 595, infatti, al secondo comma recita «Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro». Per «attribuzione di un fatto determinato» si intende un evento che è qualificabile in spazio ed in tempo, per cui se Tizio dice a Caio , Mevio e Lucio che Sempronio, da sposato, è un uomo che frequenta postriboli di notte, Tizio sta commettendo il reato di diffamazione perché accusa Sempronio di un fatto determinato - magari anche conoscendo le abitudini del soggetto e quindi lede anche la sfera della vita privata tutelata e dalla Costituzione e da leggi nazionali e sovranazionali e internazionali - al solo fine di metterlo in cattiva luce. Dall'esempio si capisce che il soggetto accusato è assente nel momento in cui viene proferita l'accusa.
Supponiamo, però, che Tizio scriva le stesse accuse non su un foglietto che fa passare al lavoro quando Sempronio non c'è, ma su mezzo stampa - teoricamente la stampa, non essendo sottoposta a censura e sequestro preventivo la notizia diffamatoria deve obbligatoriamente uscire in stampa affinché si configuri il delitto di diffamazione - : in quel caso, a norma del comma 3 del 595 c.p. Tizio rischia fino a tre anni di reclusione e una multa di 516 euro. A concludere l'articolo è la diffamazione di Autorità politica, giudiziaria o rappresentanza. Il codice non dà una pena precisa ma ci rigetta la lapidaria - e lapalissiana - formula «le pene sono aumentate».
In ultimo analizziamo il reato “borderline” di calunnia. La calunnia è simile alla diffamazione, ma cambiano i soggetti. Vi è sempre un soggetto attivo, il calunniante, che si reca presso un vicino comando dei Carabinieri e denuncia un secondo soggetto, il calunniato, di un reato che non ha commesso. Affinché ci sia reato è necessario che ci sia la mala fides del denunciante, altrimenti si incorre in sanzioni amministrative.
2. Apologia di mafia: libera espressione o censura?
Appurati gli aspetti di cui sopra, l'apologia di mafia configurerebbe censura?
Per risolvere la complessa controversia è necessario che si analizzi l'apologia di fascismo prevista e punita dalla celeberrima legge Scelba e dalla disposizione XII della Costituzione. Ricostituire il «disciolto partito fascista» implica la propaganda con l'utilizzo di metodi “persuasivi” tipici del ventennio (non certo l'olio di ricino, ma comunque metodi violenti). Poiché il Partito Nazionale Fascista ha portato alla disfatta dell'Italia - colpo di Stato senza però rovesciare la Monarchia, dittatura, guerra, guerra civile - è chiaro che il timore è dietro l'angolo - basti pensare alle organizzazioni paramilitari neofasciste degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso quali Avanguardia Nazionale, Fronte Nazionale, Ordine Nuovo e via discorrendo e nel 2017 un partito che si è presentato alle elezioni del comune di Sermide e Felonica col nome di Fasci Italiani del Lavoro* con tanto di littorio della Repubblica Sociale Italiana su una ruota dentata; nel 2019, a sorpresa, tutti gli indagati furono assolti dall'accusa di ricostituzione del disciolto partito fascista, seppur, dopo l'assoluzione, tra le fila militavano elementi di estrema destra -. Ora la domanda sorge spontanea: se il fascismo inteso come movimento politico è illegale, perché l'apologia delle organizzazioni criminali non prevede ancora una disciplina ad hoc? Si potrebbe pensare a censura da parte dello Stato? La domanda appare quasi provocatoria, ma non lo è. Visto che siamo in campo musicale tiriamo in campo due tipi di canzoni le canzoni inneggianti la mafia e, come recentemente scoperto dalla Polizia di Stato, le canzoni inneggianti alle BR, il gruppo denominato P38-La Gang - comunque gruppo terroristico. Quid iuris? In entrambi i casi la situazione si complica, e anche parecchio, considerando che i due eventi sono storico-socio-politici. Partendo dall'ultimo si potrebbe obiettare che, il terrorismo delle BR è un fatto fermo nel tempo. È vero, ma facciamo chiarezza. In apertura al paragrafo, abbiamo analizzato la disciplina del reato di apologia di fascismo. Ora, anche il fascismo è fermo nel tempo, ma tutta la documentazione prodotta in quegli anni, oggi, non è più un grosso pericolo - lo è la ricostituzione di un partito fascista, ma non le fonti del fascismo -: nessuno si immaginerebbe che si possano ripristinare le leggi razziali, o sciogliere le Camere e sostituirle interamente con uffici registrazione atti quali erano il Senato e la Camera dei Fasci e delle Corporazioni - che seppur de iure espressione dell'elettorato de facto erano membri scelti del partito, dal partito che si limitavano ad apporre firme e discutere poco - quindi, almeno sul piano pratico, non vi sono grossi problemi - per riprendere il potere il fascismo ci vorrebbe un colpo di Stato con neofascisti; colpo di Stato già tentato dal principe Junio Borghese, ma sospeso e mai più portato avanti - . Per i gruppi terroristici e i gruppi mafioso non è così: primo, anche se i gruppi terroristici, come le BR, hanno prodotto delle fonti, potrebbero in qualsiasi momento ricostituirsi, secondo, la mafia non ha prodotto delle fonti, ma è evidente che faccia del male al popolo. Il punto, però, non è tanto la burocrazia dei gruppi, quanto piuttosto il modo di approcciarsi al fatto. Premesso che c'è sempre un limite oltre al quale non bisogna andare - est modus in rebus - perché non si può parlare di violazione della libera espressione se si scrive inneggiando alle BR o alla mafia? Il canto, la musica, sono fenomeni sociali e, indubbiamente, di propaganda. Ma mentre i canti del Ventennio stanno lì, fermi nel tempo, non possono più essere usati come propaganda pubblica, i canti di inneggio a BR e mafia, invece, si, essendo i fatti evoluzione. Se si considera che dire frasi che ad esempio potrebbero parlare di grandezza di un boss si sta commettendo un reato non tanto per il tema trattato, ma come lo si è trattato. La mafia come il terrorismo sono eventi che hanno portato una crisi in Italia e che tentano di sovvertire l'ordine costituito, sono antistato - ecco la parola che chiarisce tutto - e, pertanto, tutto ciò che inneggia alle gesta mafiose o terroristiche non può che essere condannato in quanto contrarie allo Stato. Come ultimo, disperato tentativo di difesa, si potrebbe obiettare che anche il fascismo, visto che è stato tirato in ballo, è antistato. È vero, ma oggi è visto come antistato, ma nell'epoca in cui ha operato il fascismo era lo Stato legittimato dal potere del Re - la causa della caduta della monarchia fu proprio questo dettaglio, la collusione col fascismo - quindi oggi è reato ricostituire un partito che ha portato male all'Italia; mentre la mafia e il terrorismo non erano e non sono partiti o movimenti extraparlamentare - anche se le BR e i NAR operavano per correnti politiche di estrema sinistra e destra, ma comunque erano terroristi non riconosciuti dalle correnti politiche - sono antistato nel senso che nascono in seno allo Stato e vanno contro di esso.
Quindi parlare di non-censura per manifestazioni di pensiero pro-mafia è come legittimare il potere mafioso a continuare l'ignobile opera di sovvertire il Paese; idem per le canzoni, manifestazioni di pensiero pro-terrorismo - oltre che alla beffa alle vittime e della mafia e del terrorismo, perché chi ne soffre di più sono proprio loro, i familiari in vita delle vittime -. Piuttosto, queste manifestazioni devono essere vietate, oltre che per i misfatti commessi, anche per ordine pubblico e salvaguardia della Repubblica.
*Paolo Berizzi, Fondarono i Fasci italiani del lavoro a Mantova, per il giudice non è reato: "Non è ricostituzione del partito fascista", La Repubblica, 22 Marzo 2019, articolo su internet