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IL GIUDIZIO CHE SPAVENTA

Di Sante Cristofaro

Il dibattito sulla soggettività del giudizio è forse uno dei più interessanti dibattiti che la nostra storia abbia potuto partorire. Per lungo tempo siamo stati indotti a dubitare del giudizio in quanto giustizia e del giudice in quanto giusto, aprendo uno spiraglio di luce intorno all’idea di perfezione, e comprendendo, nei divini limiti, il senso della miseria umana in relazione a questa tetraktys. Eppure, di questi tempi, la questione circa il giudizio sembra quasi essere stata amplificata rispetto al passato. La ricerca di una sentenza oggettiva e sempre valida è l’unico presupposto logico che possa rendere abbordabile una discussione di questo tipo, poiché il parlare di oggettività trasuda soggettività; e diventa estremamente complesso anche essere chiari, figuriamoci oggettivi! Il giudizio ha da sempre destabilizzato la nostra specie, poiché evidentemente l’umano n’è attratto e respinto al contempo, e poiché esso detiene un grande potere da cui, come giustappunto direbbe lo zio Ben, derivano grandi responsabilità. Nessuno di questo mai dubiterebbe. Il giudizio parrebbe dunque avere una natura duplice: una oggettiva ed una soggettiva. Entrambe, alle volte, ci pongono in soggezione e, ancor più di rado, ci feriscono con il rischio d’innescare un nostro personale ed introspettivo meccanismo di assoggettamento psichico. Cosa tanto ci spaventa del giudizio? Iconico fu l’esempio datoci da Wittgenstein che, verso la fine degli anni Venti, articolò un’approssimativa argomentazione contro la sensatezza del giudizio etico ed estetico, ponendo solide fondamenta intorno al concetto di percezione e contribuendo alla costruzione di un ponte sullo stretto che unisca il paradigma soggettivista a quello linguistico. Difatti non è un caso che gli studi linguistici di inizio ‘900 siano visti tuttoggi con ampio riguardo, e che De Sossure, nella fattispecie, ne sia la più che valida colonna portante. Il giudizio che spaventa è tutto ciò che proviene dall’esterno, perché infrangere il “limes” della nostra sfera sensioriale risulta sempre un vero e proprio sacrilegio. Che amarezza. È evidente che il popolo romano abbia sofferto ad ogni tentativo di invasione barbarica, anche se il termine “invasione” resta puramente convenzionale. Avremmo tuttalpiù potuto parlare di immigrazione di massa. Quindi provo a regalarvi questa perla: scendete per un attimo dal carroccio dei luoghi comuni e passatevi la mano sulla coscienza. Il giudizio è il male del secolo.

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